Il sindaco di Guidonia incontra imprese, sindacati e coinvolge la Regione nella costruzione di un nuovo futuro per il comparto estrattivo ma non dice come si supera la crisi attuale determinata dal “no” del dirigente alle proroghe delle autorizzazioni alle attività estrattive 

GUIDONIA – La “filiera corta” per la valorizzazione della pietra tiburtina è un obiettivo di rilevante importanza per il rilancio del settore estrattivo. Anche la creazione di un “marchio” di qualità a salvaguardia del travertino romano è intento lodevole, quasi un obbligo per chi amministra, come lo sono i buoni propositi da attuare nei giusti tempi, con lungimiranza politica e in collaborazione tra le parti in causa: aziende, Comune, Regione, sindacati, lavoratori. Di questi temi si è occupato il primo tavolo di confronto avviato lunedì scorso dal sindaco di Guidonia Montecelio Michel Barbet, una iniziativa ammirevole per gli scopi che si prefigge, ma che trascura completamente la specificità della vera emergenza che ha messo in crisi il settore: i no alle autorizzazioni a nuove proroghe (e i no alle richieste di ampliamento delle attività nell’area di cava) arrivati dal Comune all’indirizzo di una ventina di aziende estrattive. Una materia di totale competenza dell’amministrazione cittadina, del dirigente Paola Piseddu che, in base alle modifiche introdotte nel 2011 alla legge regionale 17 del 2004 sul funzionamento di cave e torbiere, è l’unica titolata a produrre procedure amministrative efficaci alla riprese delle attività estrattive anche in assenza, ed è questo il caso, di indirizzi da parte della giunta comunale e del sindaco.

Piseddu, è questione nota, spiega i dinieghi con il mancato ritombamento delle cave (o di parti di esse). A suo dire, negli anni, le aziende avrebbero dovuto operare il ripristino ambientale, provvedere al riempimento dei crateri di cava con gli stessi materiali di scarto derivanti dalla attività di estrazione, non l’hanno fatto e ora è tardi. Anche perché quei materiali oggi sono insufficienti o semplicemente non esistono più, rivenduti per la produzione di cemento. Per il dirigente è inoltre impossibile utilizzare scarti di differente provenienza per i ritombamenti, nonostante le direttive europee e le leggi vigenti (supportate ormai non solo da interpretazioni normative ma da una consolidata giurisprudenza) dicano il contrario. Così si è fatto in altri distretti estrattivi del Paese, perché non si può fare a Guidonia? Perché l’amministrazione comunale non si assume nella sua interezza la responsabilità  di interpretare estensivamente le norme in vigore, nel rispetto di quella legge regionale 17 del 2004 che vincola gli indirizzi politici (e le prassi amministrative) proprio alla salvaguardia occupazionale che il sindaco dice di voler tutelare?

Come fa notare Forza Italia – che attraverso i suoi dirigenti locali ha prodotto un documento a supporto delle istanze del settore estrattivo nel rispetto dei diritti delle aziende e dell’ambiente dove operano –  “il ritombamento delle cave dismesse è possibile anche con inerti diversi dai prodotti di escavazione del travertino (cfr. ad esempio i materiali ex D.M. 5.2.1998 e s.m.i.), e senza trasformarle in discariche, è già possibile a legislazione vigente, secondo le normative nazionali e regionali, in piena aderenza alle direttive europee. Infatti, l’operazione di riempimento di una cava mediante rifiuti diversi dai rifiuti di estrazione può essere considerata come un’operazione di recupero quando questi rifiuti possano svolgere una funzione utile, sostituendosi all’uso di altri materiali che avrebbero dovuto essere utilizzati per svolgere tale funzione, sempreché i materiali utilizzati siano appropriati a questo scopo, ovvero il recupero si svolga nel pieno e rigoroso rispetto dell’ambiente e della salute umana (cfr. Corte di Giustizia, IV sezione, 28.7.2016 in causa C-147/15)”.

Il prossimo tavolo di lavoro del sindaco (più altri) è in calendario per lunedì 16 aprile. Ieri (mercoledì 11 aprile) il consiglio comunale ha approvato all’unanimità una mozione (proposta dal Pd) che sostanzialmente tira nella partita la Regione Lazio. Nelle intenzioni dell’assise, la Pisana o la presidenza della giunta, dovrebbero fornire non meglio identificate formule, forse normative o di indirizzo, per uscire dallo stallo determinato dagli uffici comunali. Un paradosso in una vicenda di per sé paradossale. La Regione Lazio, va ricordato, non ha alcuna competenza sulle proroghe, dopo avere rilasciato le concessioni rimanda ai comuni le procedure amministrative relative al prosieguo delle attività estrattive. Come nel gioco dell’oca, è quindi fin d’ora facile prevedere che la pedina delle decisioni tornerà prima o poi nelle mani del sindaco e sopratutto del dirigente. Se non sarà intervenuta la giustizia amministrativa a decidere per tutti sanando inadempienze d’ufficio. Gli imprenditori impugneranno i dinieghi davanti al Tar e se otterranno ragione (come è plausibile) molto tempo se ne sarà andato per niente. Al lordo dei tavoli inutili a risolvere una vertenza apparentemente semplice da risolvere.

AUTORE: Elisabetta Aniballi

Blogger e Giornalista professionista. Nella sua trentennale carriera ha maturato esperienze prevalentemente nella carta stampata senza mai nascondere l'amore per la radio, si occupa inoltre di comunicazione politica e istituzionale.

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