MONTEROTONDO – Imprenditore (di successo) e analista politico. Attento osservatore delle cose della destra italiana, anche se la sua militanza (iniziata ai tempi del MSI di Giorgio Almirante) si è esaurita con Alleanza Nazionale e con il rimpianto di avere perso lo spessore politico di un uomo come Gianfranco Fini. Amedeo Giustini, 64 anni, è inoltre scrittore e saggista, Notista politico per Lo Speciale, il sito di approfondimento sociopolitico, culturale e identitario dell’amico massmediologo Fabio Torriero.

Amedeo Giustini con l’amico di una vita Fabio Torriero

Nella politica locale della sua città, Monterotondo, Giustini si è occupato praticamente di tutto. Dal 1995 al 2009 eletto consigliere comunale nella lista di Alleanza Nazionale,  nominato in varie commissioni è stato per anni membro della commissione Bilancio e Programmazione. Nel 2005, nominato dalla Presidenza della Regione Lazio membro della commissione tecnica dell’Ater (già IACP) di Roma. Nel 2009, delegato all’ultimo Congresso di Alleanza Nazionale e tra i 6000 fondatori del PdL (Popolo delle Libertà). Nel luglio 2009 viene designato consigliere di minoranza nel CdA dell’Azienda Pluriservizi Monterotondo (APM). Scrittore, nel suo curriculum vanta numerose pubblicazioni. Lo abbiamo intervistato alla vigilia dell’uscita del suo ultimo saggio dal titolo inequivocabile: Democrazia & Poterocrazia.

d. Da quarant’anni lei analizza, parla e scrive la politica, il suo punto di osservazione è neutro in quanto legato al racconto di fatti che hanno caratterizzato in più fasi la vita politica di questo Paese, ma lei è anche un uomo di parte. Sempre dalla stessa parte, di cui ha detto «la destra culturale non ha mai coinciso con la destra politica». Com’era la sua destra e cosa è diventata?

r. «La mia destra è stata sempre conservatrice alla Prezzolini, sociale e finiana. Se non ci fosse stata la svolta di Fiuggi ora non avremmo Giorgia Meloni presidente del Consiglio. Sottolineo che Alleanza nazionale era una destra che guardava avanti. La politica era più tridimensionale con le sue radici passate, il presente e il futuro. È vero la destra culturale non ha mai coinciso con la destra politica ma la influenzava. Avevamo molte associazioni e prodotti editoriali. Oggi vedo più una desertificazione che una divaricazione tra cultura e politica. Tanto per fare due nomi, Marcello Veneziani e Fabio Torriero non sono valorizzati e sono tenuti ai margini ma rappresentano la storia culturale della destra italiana. Comunque, sentirsi di destra e fare politica non necessita una tessera in tasca. Esistono tante destre o sedicenti tali ma vi è una destra sociale e repubblicana che ritengo non sia pienamente rappresentata e non tarderà molto a germogliare».

d. Nei suoi libri, che inducono il lettore ad una riflessione sull’importanza della partecipazione – tra i più conosciuti Partecipazione e Classe Politica – lei ha provato a ragionare sulla qualità della democrazia in Italia, qual è il quadro che ne farebbe oggi, e in cosa è cambiato rispetto agli albori della seconda repubblica?

r. «La democrazia è molto più fragile di quanto si possa immaginare. Le elezioni sono uno strumento essenziale ma la qualità di questo importante strumento è determinata dalla partecipazione. L’astensione, in costante aumento, ci deve interrogare sulla qualità della nostra democrazia. Troppo spesso abbiamo minoranze che rappresentano nelle istituzioni la Maggioranza e questo preoccupa non poco».

d. Trent’anni di trasformazioni (o trasformismi) raccontate in tanti saggi, partendo da Destra, Sinistra e l’inganno del… Centro politico: erano i primi anni ’90 del secolo scorso e le aspettative generazionali protese, in quel momento storico, a un cambiamento tradito, poi, dagli eventi: oggi si rimpiangono i protagonisti della prima repubblica. Secondo lei perché?

r. «Nei primi anni ’90 si parlava addirittura di bipartitismo ma non ci siamo accorti che il Berlusconismo con Forza Italia introduceva il partito personale o del Capo. Questo modello si è riverberato anche in altri partiti, compreso il PD con il Renzismo ma quest’ultimo ha saputo tornare sui propri passi anche se il meccanismo adottato delle Primarie è molto discutibile. Tornando alla domanda, della Prima repubblica si rimpiange soprattutto il modello dei partiti, oltreché i suoi protagonisti. Partiti plurali, con tanto di componenti e di minoranze per lo più sparite negli odierni partiti. La buona notizia sta nel fatto che proprio in Forza Italia c’è un elemento di novità. Da partito padronale è diventato un partito scalabile. Mi auguro vi sia una contaminazione proprio su questo nuovo approccio. Le minoranze sono la certificazione di una democrazia interna ai partiti ma non ne vedo molte in giro».

d. Lei cresciuto a Monterotondo, è la sua città, si è impegnato e si impegna per un’alternanza democratica al governo del Comune che non c’è mai stata, è questo modello così particolare, pressoché unico in Italia, ad averla indotta a ragionare su democrazia e Democratura nella sua accezione negativa. Di Poterocrazia. Vuole spiegare cosa intende?

r. «A scanso di equivoci auguro al sindaco Riccardo Varone un buon lavoro e la sua riconferma è stata decisa democraticamente dal voto degli elettori. Fatta questa doverosa premessa registro che Monterotondo dal dopoguerra in poi non ha avuto un alternanza di governo. Tutti i politologi sono unanimi nell’affermare che la qualità di una democrazia passa anche attraverso un’alternanza e quando viene gestito il potere per troppo tempo si possono creare della sacche trasversali di consenso e una classe politica e istituzionale bloccata senza un ricambio e priva di qualità. La chiamo Poterocrazia, ossia il potere che genera il potere. È una riflessione che proviene da questa mia esperienza, ormai quarantennale, di politica sul territorio della mia città. Questo non toglie le responsabilità di classi dirigenti di opposizione, di cui ho fatto parte. Negli anni ’90 ponevamo come giustificazione l’essere una classe dirigente estremamente giovane ma oggi, che siamo molto meno giovani, dovremmo riflettere sul perché centinaia di voti transitano dal voto europeo a quello comunale dal centrodestra al centrosinistra. Vorrei essere ottimista, ma vedo una difficoltà nella presa di coscienza degli attori in campo sulle reali opportunità. Un sindaco di Cdx a Monterotondo, nella città  più importante della Valle del Tevere, significherebbe spostare l’asse politico del Cdx verso la nostra realtà in tutte le possibili candidature: da quella regionale a quella parlamentare e ricordo a me stesso che in politica vi sono avversari esterni e insidie interne. Mi auguro che l’opposizione sia in grado di fare sintesi, una politica costruttiva e di controllo e sappia aprire una campagna di ascolto tra i cittadini per tutti i 5 anni che dovranno trascorrere sino alle prossime elezioni del 2029 se tutto fila liscio. La campagna elettorale è la fine di un percorso politico non un inizio e una classe dirigente deve essere in grado di fare delle scelte senza aspettare il puzzle dei tavoli provinciali ed è uno dei motivi per cui nel 2010 feci la scelta di uscire dal Pdl per abbracciare il Civismo. La candidatura dell’avvocato Simone Di Ventura, la migliore possibile, ha pagato un ritardo ingiustificato nel dargli il via libera per una pre-campagna elettorale che avrebbe fatto la differenza. Passano i lustri ma le liturgie suicide del Cdx sono sempre all’ordine del giorno».

d. In più di una occasione, anche nei suoi articoli pubblicati su Lo Speciale diretto dal giornalista Fabio Torriero, lei ha richiamato l’attenzione sull’importanza della partecipazione democratica, eppure sempre meno cittadini scelgono di partecipare attraverso l’espressione del voto, la democrazia italiana, al pari di altre importanti in Europa, è messa così male?

r. «Partecipare non significa soltanto entrare nelle urne e votare seppur sia fondamentale esercitare questo diritto. La partecipazione riguarda tanti aspetti della nostra democrazia: dall’essere iscritto ad un partito politico, ad un comitato di quartiere, ad un sindacato, ad una associazione culturale o di volontariato. La partecipazione è una garanzia per la buona qualità della nostra democrazia perché siamo soggetti attivi e determiniamo comunque una politica».

d. Cosa si può fare, cosa ciascuno può fare per invertire la tendenza dell’astensionismo elettorale, salvaguardando la democrazia. Che non sarà un modello perfetto ma è sicuramente il meno imperfetto tra le forme di governo?

«Innanzitutto la presa di coscienza che la democrazia non è per sempre ed è come un albero le cui radici, se profonde, riescono a contrastare le spinte autocratiche o autoritarie. Abbiamo troppi esempi nel mondo di democrazie che si sono trasformate in Democrature. Un ruolo fondamentale è quello dei partiti politici che debbono ritornare alla loro antica vocazione di selezionare la classe dirigente e aprirsi di più alla società civile anche con all’interno persone non iscritte al partito e chiudere definitivamente questa divaricazione tra cultura e politica. Il cittadino deve comprendere che il cambiamento o la riconferma di una classe dirigente passa attraverso la partecipazione e astenersi significa semplicemente far decidere gli altri. Meglio votare il meno peggio perché si rischia di avere il peggio del peggio».

d. So che sta lavorando ad un nuovo saggio, dopo lo scorrere lento del tempo narrato in  Sempre di Più contro i ritmi esasperati della vita che ci rendono infelici, lei torna a occuparsi di politica con Democrazia & Poterocrazia, quando esce il libro?

r. «Sempre di Più, edizioni Terre Sommerse, ha avuto un discreto successo e mi rende questo felice perché è il mio primo pamphlet che non riguarda la politica. La velocità che imprimiamo alla nostra vita quotidiana incide negativamente sulla nostra qualità della vita. È necessario trovare la velocità perfetta per goderci appieno il tempo libero e gli affetti. Tuttavia il richiamo della politica è forte e Democrazia & Poterocrazia sta prendendo corpo da una esigenza: l’amore verso la libertà e la democrazia. Non dobbiamo dare nulla per scontato e i prossimi appuntamenti referendari mi vedranno in prima linea contro chi minaccia l’unità nazionale e chi per riforme pasticciate può scardinare gli equilibri democratici. La democrazia vive di processi lenti perché ha bisogno dei pesi (chi governa) e dei contrappesi (la separazione dei poteri, il giusto peso degli organi di garanzia e partiti non personali ma scalabili). La libertà e la democrazia sono come le due lenti in un paio di occhiali. Vediamo bene quando le indossiamo e ci dimentichiamo di averle. Solo se qualcuno le strappa dal nostro viso ci rendiamo conto della loro importanza poiché non vediamo più nitidamente come  prima e siamo costretti a lasciarci condurre nelle nostre azioni quotidiane. Una volta destra e sinistra erano la garanzia di un equilibrio. Oggi questa diade ha visto evaporare i propri valori di riferimento. Esiste l’Alto del ‘turbocapitalismo’ finanziario in grado di far cadere i governi e il Basso dei lavoratori impoveriti e del ceto medio decaduto. Tutti argomenti trattati in Democrazia & Poterocrazia che vedrà la luce a dicembre».

AUTORE: Elisabetta Aniballi

Blogger e Giornalista professionista. Nella sua trentennale carriera ha maturato esperienze prevalentemente nella carta stampata senza mai nascondere l'amore per la radio, si occupa inoltre di comunicazione politica e istituzionale.

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