GUIDONIA – Il Consiglio di Stato «cancella» il decreto istitutivo del «vincolone» con cui, nel 2016, la Soprintendenza aveva assoggettato a procedura straordinaria autorizzatoria circa 1900 ettari del territorio comunale di Guidonia Montecelio.

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Per i magistrati chiamati a pronunciarsi nell’ultimo grado di giudizio della giustizia amministrativa, il Ministero (allora) dei Beni culturali nelle sue diramazioni territoriali, avrebbe agito sotto un condizionamento volto a colpire direttamente la attività industriale della Ambiente Guidonia Srl, proprietaria di un impianto di trattamento meccanico biologico dei rifiuti (TMB) in località Inviolata, agendo di nascosto e senza dare modo alla società di partecipare attivamente al procedimento amministrativo, che 8 anni fa decretò il cosiddetto «vincolone», tra gli altri, esteso su un’area industriale esterna e ormai estranea al Parco archeologico e naturalistico istituito con legge regionale del 1996.

Per i giudici del Consiglio di Stato, la Soprintendenza ai beni archeologici impose arbitrariamente un vincolo su un’area nella quale, tra l’altro, non sussisteva alcun interesse di tipo archeologico incorrendo, come sostenuto dai legali della società, in un abuso di potere irrazionale e irragionevole. Con queste motivazioni, nell’udienza del 3 luglio scorso, i giudici hanno riformato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 8825/2020. Ora è a rischio anche la legittimità del Ptpr (Piano territoriale paesaggistico regionale) che nella programmazione urbanistica dell’area di Guidonia Montecelio, nel 2021, aveva pedissequamente recepito le indicazioni vincolistiche disposte dal Ministero su una zona molto estesa riguardante non solo l’Inviolata, ma le aree industriali intorno al Casello autostradale, la ex provinciale 28 bis e la Tiburtina nel tratto della Pista d’Oro e fino a Castell’Arcione. Un caos nel quale, a soccombere, è stata anche l’amministrazione comunale targata Mauro Lombardo. Che nel procedimento arrivato a sentenza, si era adeguata alle scelte precedentemente assunte dall’ex sindaco 5Stelle Michel Barbet anche attraverso l’ingaggio dall’avvocato esterno e principe del foro Xavier Santiapichi. Una sconfitta arrivata su tutto il fonte di battaglia, in quanto, tecnicamente, il Consiglio di Stato ha ritenuto, accogliendole, le doglianze avanzate nel proprio interesse della società contro lo stesso Comune e l’allora Mibact, che attuò il provvedimento vincolistico in pervicace contrasto al Tmb di proprietà della Guidonia Ambiente.

Andiamo con ordine nel tentativo di fare chiarezza il più possibile su una vicenda molto complessa, che da oltre un decennio, nella sua interezza, tiene banco nelle aule della giustizia amministrativa. E che ha avuto come protagonisti il Parco Archeologico, la ex discarica chiusa nel 2014, i numerosi tentativi di fermare la realizzazione dell’impianto Tmb da parte di soggetti pubblici in quanto enti locali,  e privati cittadini costituitisi in associazioni e comitati ambientalisti. Con questo appello, in particolare, la Guidonia Ambiente chiedeva ai giudici di secondo grado di pronunciarsi sul «ricorso numero di registro generale 6912 del 2020», proposto contro la Regione Lazio, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per Le Province di Frosinone Latina e Rieti e nei confronti del Comune di Guidonia Montecelio, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Xavier Santiapichi.

I passaggi più significativi della sentenza

I giudici hanno ricostruito in sentenza tutti i passaggi che portarono nel 2015 la Soprintendenza ad avviare il procedimento di individuazione dell’Inviolata quale area di interesse ai sensi dell’art. 142, comma 1, lett. m) d.lgs. 42/04. Tale procedimento si era concluso con il decreto (poi impugnato da Guidonia Ambiente e ora annullato) risalente al settembre del 2016. Il Tar, con la sentenza adesso parzialmente riformata dal CdS, aveva dichiarato «improcedibile il ricorso principale presentato da alcune associazioni ambientaliste e il primo ricorso con motivi aggiunti proposti avverso gli ordini di sospensione dei lavori relativi all’impianto per sopravvenuta carenza di interesse; per il Tar erano da ritenersi  inammissibili anche gli ulteriori motivi aggiunti avverso il vincolo apposto con il decreto della Soprintendenza del 2016».

Contro tale pronuncia, aveva proposto appello l’originaria ricorrente (la Guidonia Ambiente Srl ndg)  «deducendo l’erronea declaratoria di improcedibilità del terzo atto di motivi aggiunti».

L’appellante, a sostegno della sussistenza dell’interesse a ricorrere, rilevava che «l’impianto opera in forza di provvedimenti (cd. AIA) che hanno durata cadenzata nel tempo, sicché il ricadere in un’area (illegittimamente) vincolata non è affatto circostanza irrilevante. La prova sta nell’atto di rinnovo dell’AIA del 6 luglio 2020 che, data l’esistenza del vincolo, pretenderebbe di consentirne l’esercizio per solo quattro anni».

La sentenza ha quindi riguardato la sola impugnazione del vincolo apposto dalla Soprintendenza e non gli ulteriori atti che riguardavano in modo specifico l’impianto di trattamento meccanico biologico ancora pendenti in sede di giustizia amministrativa. Per i giudici è indubitabile che «il decreto impugnato si innesti direttamente sulla vicenda relativa all’autorizzazione dell’impianto di trattamento dei rifiuti della società Guidonia Ambiente». «Il contesto nel quale si è originato il decreto di vincolo – scrivono i magistrati – porta dunque a ritenere che, per la stessa condotta serbata in precedenza dal Ministero nei confronti della società appellante, questa non potesse essere assimilata a qualunque altro proprietario astrattamente attinto dal vincolo, dovendosi invece ragionevolmente distinguere la sua posizione, in quanto già interessata da un contenzioso con lo stesso Ministero, avente ad oggetto l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di trattamento dei rifiuti, sulla quale il provvedimento impugnato era destinato ad incidere direttamente, come confermato dal successivo iter che ha portato alla proroga dell’autorizzazione, potendosi finanche azzardare che, stante la tempistica dei diversi atti posti in essere dal Ministero ed innanzi ricordati, il vincolo avesse proprio lo scopo di ostacolare (se non bloccare) l’iniziativa della società appellante […] In altre parole, senza voler mettere in discussione la natura giuridica del decreto di apposizione del vincolo, è innegabile che questo, in concreto, era destinato ad incidere (e di fatto ha inciso) sulla prosecuzione dell’attività dell’appellante (tanto è vero che è stato necessario completare l’iter autorizzatorio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri per ovviare all’ostacolo frapposto dal Ministero)».

«Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che l’intervento di un atto comunque destinato ad incidere immediatamente sulla sfera dell’appellante – proprio nel momento in cui era pendente un contenzioso con lo stesso Ministero in riferimento alla medesima area e quando la società necessitava di un titolo per l’esercizio dell’impianto – esigeva un diretto coinvolgimento di questa nel procedimento di apposizione del vincolo sin dall’origine; in ogni caso, la peculiarità della situazione sulla quale il vincolo era destinato ad incidere, rendeva doverosa la concessione della proroga dei termini richiesti dalla società, al fine di consentirle di esporre, già durante la fase procedimentale, la propria posizione. Da un altro punto di vista, deve escludersi che l’apporto partecipativo della società sarebbe stato comunque ininfluente […] Sul piano generale va infatti ricordato che il Decreto in questione è espressione di un potere ampiamente discrezionale, il quale ben può essere condizionato dall’apporto partecipativo del privato, non potendosi affatto assumere che questo abbia un esito vincolato».

«Nello specifico, la società ha evidenziato una serie di circostanze che il Ministero – ferma la sua sfera di competenza e precisato che non è possibile per questo Giudice sostituire la propria valutazione a quella dell’amministrazione – avrebbe potuto considerare per addivenire ad un esito diverso, o anche solo per calibrare diversamente la portata del vincolo e le relative prescrizioni. Invero, al riguardo, la società ha evidenziato che: – il vincolo interviene anche su opere ed attività già autorizzate. La discarica ricopre una vasta superficie di 31,5 ettari ed è stata realizzata nel lontano 1991. Il progetto del limitrofo impianto, che occupa una superficie di 26,2 ettari, per il trattamento di rifiuti è stato approvato, in ossequio all’allora vigente PTP, con Decreto Commissariale, n. 93/2007, del Commissario delegato per l’Emergenza Ambientale; – l’impianto era poi autorizzato con l’A.I.A. rilasciata mediante la Determinazione Regionale del 2 agosto 2010, prot. n. C1869, sulla base del nulla osta rilasciato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio prot. n. 8191 del 7 agosto 2009, che prescriveva una fascia di rispetto di 10 metri dai reperti e conseguenti modifiche al Lay-out dell’impianto di compostaggio; – in sede della conferenza di servizi, convocata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per il rinnovo dell’AIA, la Soprintendenza ha confermato il parere favorevole alla realizzazione dell’impianto, dando atto, con nota prot. 4017 dell’11 marzo 2016, che la struttura realizzata è esterna alla fascia di rispetto prevista dal PTPR; – il d.lgs. 36/2003 (recante trasposizione della direttiva 1999/31/CE) è chiaro nello stabilire che, dopo la chiusura, ciascuna discarica resta assoggettata, a cura e responsabilità del gestore, al cd. post gestione operativa “per un periodo di almeno trenta anni” (art. 8, comma 1, lett. m); – l’impianto TMB è collocato al di fuori del Parco dell’Inviolata; la presunzione che nel sito in cui ha sede l’impianto vi siano dei beni archeologici sarebbe infondata, giacché tale circostanza era stata esclusa nel corso delle varie istruttorie concenti l’impianto. In ogni caso, in riferimento all’impugnazione proposta dal Comune deve evidenziarsi che quella del Tar appare una mera considerazione a supporto della decisione di inammissibilità del ricorso della società, dovendosene escludere una valenza di giudicato, non sussistendo pertanto, anche da questo punto di vista, alcun apprezzabile interesse del Comune alla riforma sul punto della sentenza di primo grado […] Per le ragioni esposte l’appello principale va rigettato, mentre l’appello incidentale del Comune va dichiarato improcedibile».

«Ad una valutazione complessiva della controversia, le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda) accoglie l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale del Comune e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie i terzi motivi aggiunti ed annulla il decreto ivi impugnato».

AUTORE: Elisabetta Aniballi

Blogger e Giornalista professionista. Nella sua trentennale carriera ha maturato esperienze prevalentemente nella carta stampata senza mai nascondere l'amore per la radio, si occupa inoltre di comunicazione politica e istituzionale.

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