GUIDONIA – La cartella era veramente pazza, nel senso che quei soldi richiesti dall’agente della riscossione (La Tre Esse Italia Srl) non erano dovuti. Anzi: erano già stati corrisposti. Non è tutto: nelle «motivazioni della decisione» i giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Roma bacchettato il concessionario (e con esso il Comune di Guidonia Montecelio) per avere messo in campo (volutamente) comportamenti vessatori e lesivi dei diritti dei contribuenti, violando l’articolo 7 dello Statuto e la legge 241/90. Considerando (per di più) «un’aggravante» il fatto che la Tre Esse era perfettamente a conoscenza dell’errore molto prima di essere trascinata in giudizio, e di non aver provveduto all’annullamento dell’avviso di accertamento come avrebbe dovuto dopo i rituali controlli. Motivo per cui i giudici hanno condannato l’agente al pagamento di 3mila euro di spese legali, censurando comportamenti che corrodono il rapporto di fiducia tra i cittadini e il fisco impositore.

Una brutta pagina arrivata con la sentenza decisa lo scorso 23 marzo (la numero 3742 depositata il 29). Quando i giudici hanno stigmatizzato sostanzialmente il comportamento della Tre Esse Italia (e del Comune di Guidonia Montecelio rimasto sordo e inerme), per «una politica aziendale» nient’affatto equa applicata ai contribuenti guidoniani. Nel caso specifico ad una azienda del settore estrattivo (la Lifi Srl). La quale, ad un certo momento, nel corso del 2021, si era vista recapitare un avviso di accertamento per l’Imu sui terreni e fabbricati di pertinenza a parecchi zeri, sanzioni e interessi compresi. Una imposta relativa all’anno 2014 che, è stato provato durante il dibattimento, risultava già versata da altra società (la Str Spa) prima della cessione del ramo d’azienda, diventata il soggetto a cui richiedere il tributo una seconda volta.

I titolari hanno invano tentato di far valere le proprie ragioni, diffidando il Comune e recandosi più volte negli uffici della Tre Esse Italia, ma invece di ottenere «la rettifica in autotutela delle ingiunzioni fiscali sbagliate» si sono sentiti rispondere «tanto ci vediamo in giudizio». L’avviso di accertamento poi, era da considerarsi «carente di motivazione». Ciò significa, e lo scrivono i giudici in sentenza, che il contribuente ha sempre diritto a conoscere «le ragioni, e gli elementi essenziali che hanno determinato l’adozione dell’atto» cosa che nel caso specifico non accaduto. Vuol dire che l’amministrazione finanziaria deve sempre motivare e dettagliare «i propri atti impositivi in maniera sufficiente ed adeguata» prima di inoltrare gli avvisi. Se la Tre Esse avesse, insomma, agito correttamente avrebbe scoperto che la società A aveva ceduto le proprietà alla società B e che quest’ultima nulla più doveva all’erario comunale per l’anno fiscale 2014. 

Con la sentenza del 23 marzo un altro importo «preteso» dal Comune di Guidonia Montecelio (attraverso la Tre Esse) è da depennare dal conto aperto da anni con le aziende del settore estrattivo. «Accusate» a più riprese e da più parti di evadere le tasse locali. Un contenzioso già ridimensionato (anche) da numerose sentenze della Cassazione, in ultimo dal giudice del rinvio, circa l’aliquota da applicare ai fini del calcolo dell’Imu/Ici. Una querelle diventata giudiziaria alla cui base ci sono due delibere confliggenti, una di giunta e l’altra di consiglio comunale. Che fissano diversi valori venali a m/q delle aree di cava ai fini del calcolo dell’Imu ex Ici. La prima indica il valore in euro di 7,82, l’altra, applicata dall’agente della riscossione, lo fissa in euro 54,75. La differenza, forse una ventina di milioni di euro, è finita negli accertamenti e nelle ingiunzioni fiscali fatti notificare dalla Tre Esse negli anni. Atti gravati da sanzioni e interessi, sistematicamente impugnati dagli imprenditori nelle sedi della giustizia civile. 

Anche alla luce delle ultimissime ordinanze della suprema corte le aziende chiedono una revisione degli importi da corrispondere, la decurtazione degli interessi e sanzioni, la correzione degli svarioni formali senza dover ricorrere al giudice ogni volta. Invocano, insomma, quell’equità fiscale a cui ogni contribuente ha diritto, anche i ricchi cavatori (in uno stato di diritto dovrebbe in effetti funzionare così).

AUTORE: Elisabetta Aniballi

Blogger e Giornalista professionista. Nella sua trentennale carriera ha maturato esperienze prevalentemente nella carta stampata senza mai nascondere l'amore per la radio, si occupa inoltre di comunicazione politica e istituzionale.

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