A MONTEROTONDO, centro non certo marginale quando si tratta di pesare potere e contare voti, i big non perdono occasione per farsi immortalare con i candidati preferiti. Ruggero Ruggeri, consigliere comunale con esperienze maturate alla ex Provincia di Roma e già  guida del parlamentino eretino nel secondo mandato di Mauro Alessandri sindaco, ha scelto Eleonora Mattia che correrebbe in coppia con Mario Ciarla. Con lui, nella stessa direzione, sembra andare Vincenzo Donnarumma, l’attuale presidente del consiglio comunale, i due non sono gente qualunque che passando dalla sede del Partito democratico ha buttato un occhio o speso una parola, ma i mattoni che hanno costruito nei decenni di impegno politico il feudo rosso della provincia di Roma, dove «non passa lo straniero» e il sindaco non cambia colore dal 1945.

Il partito è spaccato? La domanda, sussurrata, è presente nei discorsi di chi vuole capire che fine farà Mauro Alessandri dopo cinque anni passati a via Cristoforo Colombo nella stanza di assessore alla Mobilità e ai Trasporti. Una carriera fulminea, quella del giovane ex sindaco, nel 2018 promosso direttamente nella giunta di Nicola Zingaretti, senza passaggi intermedi una volta completati i due mandati a Palazzo Orsini.

L’astro nascente. Alessandri da assessore si è distinto per impegno e partecipazione, la sua candidatura (la prima al consiglio regionale) sarebbe quindi scontata. Figlia (anche) di un accordo tra correnti stretto mesi or sono con l’altro potente notabile d’area, un passato remoto da sindaco di Tivoli e prossimo da capogruppo del Pd alla Pisana: Marco Vincenzi. Il quale, sulle disavventure del dimissionario Mauro Buschini all’indomani dello scandalo del concorso di Allumiere – siamo nel 2021 – aveva scalato posizioni raggiungendo la carica più importante dell’aula: Presidente del consiglio regionale. Le ambizioni personali di vincere il collegio parlamentare sfidando direttamente l’avversario di Fratelli d’Italia Alessandro Palombi (solo 3 mesi fa), sono state, però, l’inizio della fine e dell’accordo. Saltato lo schema per cui Vincenzi, divenuto deputato, avrebbe ricambiato il sostegno a Mauro Alessandri nella sua corsa regionale, tutto sarebbe da rifare per le  componenti tornate ai punti di partenza.

Dalla domanda «che farà Vincenzi?» dipende la risposta sul destino di Alessandri, ma il quadro è complicato. Rinunciare allo scranno regionale, scegliendo di non ricandidarsi, significherebbe per il presidente stare fuori dai giochi e da tutto. Senza cariche né incarichi a tempo indeterminato. Delle bollenti settimane appena  trascorse, tra telefonate e riunioni agitate all’inverosimile, i conoscitori delle dinamiche democratiche raccontano che s’era individuata la exit strategy per riordinare gli elementi e contenere il caos: mettere Marco Vincenzi per un quinquennio alla guida dell’Egato della provincia di Roma. Uno dei 5 enti istituiti nel luglio scorso con una legge regionale ad hoc e l’obiettivo di semplificare la gestione dei rifiuti, sottratta ai singoli comuni e trasferita sugli ambiti territoriali (già individuati dal Piano regionale dei rifiuti) attraverso una nuova governance.

Al momento di eleggere le cariche (presidente e i 4 membri dei consigli direttivi) nella politica laziale è però  scoppiato il putiferio. Per via (anche) di quegli stipendi stellari: 8 e 4 mila euro a Presidente e a ciascun consigliere. L’unico ambito che con un colpo di mano è riuscito a scegliere i vertici (votati dall’assemblea dei sindaci) è stato quello di Frosinone. Con il futuro messo al sicuro, Buschini si è dimesso da consigliere regionale ma poi il meccanismo si è inceppato a causa delle polemiche e per le accuse mosse al partito di fare del «poltronificio» una strategia. Per gli altri Egato tutto è stato rinviato al dopo elezioni del 12 e 13 febbraio 2023, mandando in crisi il sistema. Nel senso che gli «egatisti» avrebbero dovuto togliersi di mezzo dalla lizza elettorale del Pd a vantaggio di questo o quel candidato, Marco Vincenzi a vantaggio di Mauro Alessandri. Invece tutto è stato rimesso in discussione.

I più votati nella lista del Partito democratico alle elezioni regionali del 4 marzo 2018

Fonti interne al partito (molto bene informate) dicono che nel gioco di «chi porta chi» e sulle candidature niente è ancora deciso per la circoscrizione unica regionale di Roma e provincia, se ne riparlerà la prossima settimana. I democratici non difettano nella sommatoria algebrica e sanno che, con un partito  sotto il 16%, in caso di sconfitta della coalizione di Csx (con Sinistra italiana spaccata, i Verdi e Demos a fare i paletti di sostegno alla candidatura a presidente di Alessio D’amato) il Pd elegge 5, se va benissimo 6 consiglieri. Stando così le cose, fare la lista dei predestinati a riuscire nell’impresa è facile: Eleonora Mattia viaggia col vento in poppa e con lei Mario Ciarla, già segretario romano del partito; seguirebbero la probabile «coppia elettorale» Michela Califano e Daniele Leodori, quest’ultimo vice presidente facente funzioni della giunta uscente; Massimiliano Valeriani, assessore ai Rifiuti e «re»indiscusso delle preferenze nel Lazio: fu il più votato alle regionali del 2018 quando 13mila e 86 persone scrissero il suo nome sulla scheda. Cinque su sei: resta disponibile (forse) un seggio. Da assegnare a chi, Vincenzi o Alessandri? Serve il lancio della monetina.

AUTORE: Elisabetta Aniballi

Blogger e Giornalista professionista. Nella sua trentennale carriera ha maturato esperienze prevalentemente nella carta stampata senza mai nascondere l'amore per la radio, si occupa inoltre di comunicazione politica e istituzionale.

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