Da Monterotondo a Montecarlo, la parabola di Gianfranco Fini e la «buona battaglia» della ricchissima contessa Colleoni
MONTEROTONDO – La cronaca è arrivata dopo la storia. Quella di una contessa ricchissima, nubile e senza eredi diretti. Deceduta nel lontano 1999, e che a metà di quel decennio ha incrociato il destino di Gianfranco Fini: l’ex leader di Alleanza Nazionale, ancora prima del Movimento Sociale Italiano, parlamentare e già presidente della Camera dei deputati. Dal loro incontro, una sera di tanto tempo fa, ebbe inizio la vicenda umana, politica e infine processuale legata alla vendita della famosa casa di Montecarlo. E siamo alla cronaca. Il processo si è concluso ieri. Dopo sette anni di udienze, è arrivata la condanna a 2 anni e 8 mesi inferta dai giudici della quarta sezione collegiale del Tribunale di Roma all’ex segretario del Msi («l’unica cosa che ha impedito di assolvermi è l’autorizzazione alla vendita», ha commentato Fini). Condannati anche la compagna dell’ex presidente, Elisabetta Tulliani a 5 anni di reclusione, suo fratello Giancarlo a 6 anni e il padre Sergio a 5 anni. Per tutti Tulliani l’accusa è di riciclaggio.
Ma la vicenda al centro dell’inchiesta risale al 2008 ed è legata alla compravendita dell’appartamento a Montecarlo, lasciato in eredità al partito di Alleanza Nazionale dalla contessa Annamaria Colleoni insieme ad un patrimonio personale di circa 8 miliardi delle vecchie lire, che sarebbe stato acquistato da Giancarlo Tulliani attraverso società off-shore. Un’operazione effettuata per poco più di 300 mila euro e che con la vendita dell’immobile nel 2015 fruttò ai Tulliani un milione e 360 mila dollari.
Da Monterotondo a Montecarlo
Ma chi era la contessa Anna Maria Colleoni, ultima erede di una dinastia cominciata nel XV con Bartolomeo Colleoni, condottiero che nel corso della vita collezionò tante vittorie in battaglia e un numero altrettanto grande di beni immobili, terreni, case, ville, castelli. Un patrimonio immobiliare sterminato, tramandato di generazione in generazione, fino ad arrivare nel novecento del secolo scorso a Guardino Colleoni, conte e gerarca fascista il cui ramo familiare era migrato dalla bergamasca a Roma nel diciassettesimo secolo. Alla sua morte l’interò patrimonio passò a sua figlia, la contessa Anna Maria Colleoni. Che viveva a Monterotondo. Un comune di circa 40mila abitanti della provincia di Roma, a poco più di venti chilometri dalla Capitale. La storia di come il destino della contessa intrecciò quello di Gianfranco Fini fu ricostruita dai principali quotidiani italiani, da Il Giornale in particolare.
«Monterotondo era ed è rimasto un comune rosso: più volte decorato al valor militare per gli sforzi dei suoi cittadini durante la Resistenza, è stato amministrato ininterrottamente da giunte di sinistra. La contessa Colleoni è figlia di un gerarca fascista, ed è simpatizzante del Movimento Sociale prima e di Alleanza Nazionale poi: le sue preferenze politiche incontrano quindi una certa frustrazione, in una cittadina in cui il Partito Comunista e i partiti che gli succederanno vincono a man bassa a ogni tornata elettorale. Però la Colleoni si impegna e si spende, e non fa mancare il suo sostegno alla sezione locale del MSI (quando segretario nazionale è Giorgio Almirante), poi diventato AN dopo la svolta di Fiuggi operata nel 1994 proprio da Fini, che di Almirante era il delfino . Nel 1995 Anna Maria Colleoni viene invitata a una cena organizzata per festeggiare l’elezione di Roberto Buonasorte, primo consigliere comunale di AN della storia di Monterotondo. Alla cena partecipa anche Fini, e a un certo punto la contessa gli dice che non ha eredi diretti, non essendosi mai sposata, e che alla sua morte lascerà il suo intero patrimonio ad Alleanza Nazionale. «Da camerata a camerata», gli dice. La contessa muore il 12 giugno del 1999, a 65 anni».
Boulevard Princesse Charlotte, 14
Il testamento dice che l’intero patrimonio della contessa deve essere trasfertito ad Alleanza Nazionale. Ne fanno parte case, magazzini, box auto, immobili vari, titoli obbligazionari, conti correnti: di tutto. L’erario ne valuterà il valore (sottostimandolo) oltre gli otto miliardi di lire. Dall’inventario manca però una casa che si trova a Montecarlo, proprietà acquistata dalla contessa negli anni Sessanta e mai registrata in Italia. Morta la contessa, ha scritto più volte il Giornale, «qualcuno fa sapere ad AN che il patrimonio ha “una ciliegina sulla torta”. I tesorieri di AN fanno le verifiche del caso, chiedono conferma dell’esistenza della casa e la aggiungono a quanto ereditato. La casa si trova nel principato di Monaco, boulevard Princesse Charlotte 14. Chi si occupò del passaggio di proprietà dice che si tratta di un appartamento di 45-50 metri quadri, senza vista sul mare. Però aggiunge che è composta da un salone, due camere, cucina, bagno e balcone: tutto in cinquanta metri quadri? Non è chiaro. Mentre molti immobili ereditati dalla Colleoni vengono immediatamente venduti e monetizzati, la casa di Montecarlo rimane lì, chiusa e disabitata, dal 1999 in poi. «In uno stato deplorevole, fatiscente». Nonostante questo, scrive ancora Il Giornale nelle sue inchieste, «negli anni diverse persone si fecero avanti per acquistare la casa. Nel 2005 una persona offrì un milione e mezzo di euro. Le agenzie immobiliari del principato confermano che per un immobile del genere il prezzo va dai quindici ai venticinque mila euro al metro quadro: almeno un milione di euro, insomma. Nel 2008 Alleanza Nazionale vende a una società che si chiama Printemps Ltd, con sede ai Caraibi. E per la somma di 300 mila euro. Il primo punto anomalo della vicenda è questo: perché AN ha rifiutato offerte superiori al milione di euro per poi vendere a 300 mila?».
Sempre secondo le cronache de Il Giornale, poco tempo dopo «Printemps vende la casa a un’altra società offshore, per una cifra di poco superiore: solo che la società compratrice, la Timara Ltd, è stata creata all’uopo e i suoi titolari sono gli stessi della società venditrice». Il Giornale non ha escluso che «ci siano stati altri passaggi, sempre tra società offshore dall’origine poco chiara, e che lo scopo sia stato «far scomparire l’immobile»: i giornalisti che hanno seguito l’inchiesta hanno sostenuto che si sia voluto tenere la casa fuori dal patrimonio di AN senza toglierla dal controllo del suo presidente Gianfranco Fini, tesi ieri riconosciuta dal tribunale».
«La buona battaglia» della contessa
È nel 2010 che la procura di Roma comincia ad indagare sulla vicenda della casa di Montecarlo. Le ipotesi di reato, inizialmente mosse contro ignoti, sono appropriazione indebita e truffa aggravata. L’apertura dell’indagine in quel momento è un atto dovuto. Due esponenti de La Destra, in quel momento il partito di Francesco Storace, Marco Di Andrea e Roberto Buonasorte, lo stesso politico la cui elezione nel 1995 fu festeggiata alla cena con Fini e la contessa Colleoni, presentano una denuncia su una clausola del testamento della contessa Colleoni. Nel testo consegnato al notaio, si leggeva: «Io sottoscritta Anna Maria Colleoni dichiaro liberamente di nominare erede universale dei beni mobili e immobili che mi appartengono al momento del mio decesso, il partito Alleanza nazionale nella persona del suo attuale Presidente on. Gianfranco Fini come contributo per la buona battaglia». Per «la buona battaglia», sostenevano i ricorrenti, «era evidente che la svolta politica intrapresa da Fini negli anni tradisse le condizioni poste dalla contessa al trasferimento dei beni, cioè «la buona battaglia», e che Fini anzi di quella battaglia era diventato ormai esplicito avversario e oppositore». Quel procedimento specifico venne archiviato, ma non altri che hanno dato vita alla vicenda processuale giunta ieri all’epilogo. La storia della casa a Montecarlo finisce qui. Ieri, con le condanne. (immagine di copertina scaricata dal web).