GUIDONIA – Non era detto ma il contratto esiste, stipulato tra le parti a maggio 2016 e registrato presso l’agenzia delle entrate. Una obbligazione sottoscritta a norma di legge che impegnava i contraenti al rispetto reciproco degli accordi in essa contenuti, allora perché il Comune di Guidonia Montecelio ne ha disatteso i termini, adottando una scelta arbitraria che avrà sicuramente conseguenze sul piano legale ed economico? Lo sfratto per morosità del centro per l’impiego dai locali di via Montelucci 9 (che la pubblica amministrazione aveva preso in locazione ) è un caso bello e buono, non solo compromette l’immagine  dell’ente (che senza motivi oggettivamente rilevabili e comprensibili diventa cattivo pagatore in violazione di un contratto valido) ma rischia di sdoganare come comportamento normale un abuso, minando l’affidabilità dell’amministrazione, esponendola inoltre a nuovi contenziosi.

Per chi non avesse chiara la vicenda, il comune senza giustificati motivi, a un certo punto smetteva di pagare l’affitto di alcuni locali dove due anni prima aveva trovato sede un servizio provinciale (dipendente dalla Città metropolitana di Roma: il centro per l’impiego. Il locatore si era visto dunque costretto ad avviare le procedure per il recupero dell’insoluto, 50mila euro di mensilità arretrate; chiedendo il rispetto dei termini obbligazionari si era rivolto (invano) più volte agli uffici prima di investire il Tribunale che da procedura inviava l’ufficiale giudiziario. Una storiaccia vissuta inoltre dal personale dipendente, costretto dalla sera alla mattina a traslocare (senza armi e bagagli) nell’omologo servizio tiburtino (sede di Tivoli), dove, che risulti, questi dipendenti continuano a rimanere senza una postazione, strumento indispensabile a svolgere la naturale mansione del loro lavoro. Una abnormità anche sotto il profilo del rispetto dei diritti sindacali, considerando che il fatto ha riguardato personale del pubblico impiego. Guidonia ha inoltre perso un servizio di indubbia utilità, destinato a disoccupati e inoccupati di un’area vasta che ricomprende altri importanti comuni. Un disagio collettivo inspiegabile alla luce delle oggettive risultanze, che pone la domanda: perché?

Il contratto

Stipulato il 16 maggio del 2016, e registrato il 23 di quello stesso anno, è apparentemente regolare in ogni sua parte. La società locatrice si è prestata ad adeguare la funzionalità dell’immobile alle esigenze del servizio portandone “la superficie ai 232 metri quadri richiesti”, realizzando “le opere necessarie al fine di rendere lo spazio proposto idoneo all’uso”. Ha offerto un canone di locazione di 12,73mq “calcolato applicando una maggiorazione del 35,4%” rispetto ai parametri fissati dalla agenzia delle entrate ma comunque tenendo conto dei lavori realizzati a “cura e spese della società”. L’ente d’altro canto applicava la riduzione del 15% sul canone di locazione definito dall’ufficio comunale in base alla legge 135 del 2012, determinando un valore del canone mensile pari a 10,82 euro a metro quadro, che fa 2.449, 42 al mese, 29.993,04 all’anno per un locale uso commerciale di circa 240 metri quadri nel centro cittadino. Un prezzo congruo se comparato con altri canoni passivi di cui l’Ente si è fatto carico negli ultimi anni, ritenuto tale (si presume) anche dalla direzione del demanio regionale la cui validazione sarà certamente acquisita a distanza di due anni. Alla luce di questi accertamenti è più che mai incomprensibile la natura dei sopraggiunti inadempimenti dell’Ente, causa della fine di un servizio storico per la città.

Gli specchi scivolosi del sindaco

In una recente intervista rilasciata al quotidiano online Dentro Magazine il sindaco pentastellato Michel Barbet, in relazione alla vicenda del centro per l’impiego, ha spiegato che si tratta di “una chiusura temporanea, ci tengo a dirlo. Siamo arrivati a ridosso di una scadenza, al momento di cercare un accordo con la proprietà sono emerse grosse irregolarità nell’assegnazione dei locali…”. A quali irregolarità si riferisce Barbet? Esse sono nel bando per la individuazione dei locali, nella sua assegnazione o nel contratto che ne è scaturito? Per ora l’unica irregolarità l’ha prodotta l’amministrazione, rendendosi inspiegabilmente inadempiente con tutto ciò che ne consegue in termini di risoluzione contrattuale  ed eventuale risarcimento del danno al privato, al netto dei costi relativi alla procedura esecutiva di sfratto, fatalmente destinati a ricadere sui cittadini contribuenti. Se la intera o parziale procedura fosse davvero errata sarebbero poi subito da accertare le responsabilità amministrative, contabili ed eventualmente penali. Chi ha sbagliato, e dove? A tutte queste domande nessuno risponde. Nemmeno nelle sedi istituzionali, il consiglio comunale, dove la faccenda è stata sollevata dalle opposizioni. Tenendo pur sempre conto che davanti ad anomalie palesi come Barbet le definisce, l’iter corretto da adottare per un Ente pubblico sarebbe stato quello del pagamento del canone, contestualmente all’avvio di contestazioni formali che però non risultano agli atti. Errori destinati a portare la vicenda davanti a un giudice con ad oggi una sola certezza: l’Ente è inadempiente perché moroso.

La società è di Terranova

Già in tempi non sospetti, prima dello sfratto,  il vicesindaco Davide Russo parlava della necessità di avviare una nuova procedura ad evidenza pubblica per la individuazione di locali da destinare al centro, nonostante l’esistenza di un contratto commerciale valido (fino a prova contraria) della durata di sei anni più sei. Sottoscritto dall’Ente con la Ester 2000 Srl, società della galassia di Bartolomeo Terranova, controverso imprenditore le cui proprietà molte risultano in uso al Comune, non solo per il centro perl’impiego, anche per gli uffici pubblici dell’area commercio e attività produttive. La concomitanza con la quale nel 2016 l’amministrazione, nella persona dell’ex dirigente Angelo De Paolis, stipulò i due contratti a distanza ravvicinata di tempo e con modalità che sono oggetto di indagine della Procura della Repubblica di Tivoli, può indurre al sospetto, ma basterebbe a giustificare scelte politiche inappropriate, traducibili in contenziosi dall’esito certo e positivo per il privato? La sensazione che a guidarle sia stata la pancia pentastellata è forte, soprattutto in assenza della trasparenza necessaria a capirne l’origine. Il piano penale, se è a tali irregolarità derivate che Barbet fa riferimento, è distinto da quello amministrativo, dove il danno procurato alle casse pubbliche è già reale e tangibile: 5omila euro di canoni arretrati non pagati più spese di mora, legali e giudiziarie, risarcimenti del danno per risoluzione anticipata di un contratto valido, costi relativi all’apertura di una nuova procedura di gara per la individuazione di una sede da destinare al servizio, costi di registrazione del contratto e via discorrendo.  Al solito, paga pantalone.

 

 

 

 

AUTORE: Elisabetta Aniballi

Blogger e Giornalista professionista. Nella sua trentennale carriera ha maturato esperienze prevalentemente nella carta stampata senza mai nascondere l'amore per la radio, si occupa inoltre di comunicazione politica e istituzionale.

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