CINQUANT’anni di vizi guidoniani ma anche di tanta vita intima e privata raccontati nel bel saggio Una Vita La Mia Terra (sottotitolo Brava Gente e…) scritto da Ugo Rendine, ingegnere e architetto (sì il signore ha due lauree), iscritto alla Democrazia Cristiana e, in rappresentanza di essa, agli inizi è stato consigliere comunale. Legato alla componente locale del compianto Amedeo Sassano, figura spesso menzionata nel libro. Sono gli anni del Piano regolatore, dei governi Pri-Psi-Psdi e Pci. I partiti della prima Repubblica che i più giovani nemmeno conoscono. Il Partito Socialista Italiano, il Partito Socialdemocratico, il Partito Repubblicano, il Partito Comunista Italiano. Da lì comincia il racconto più politico. Cinquecento pagine di narrativa, documenti, atti, verbali, foto prese dall’archivio personale. La lunga storia più recente della terza città del Lazio vista da uno dei protagonisti. Con maestria, Rendine, porta il lettore agli albori, alla genesi di molti fatti che avrebbe condizionato la vita pubblica negli anni avvenire. Cominciando dalla storia del Prg (Piano regolatore generale). Dalla bozza della «Città lineare» diventata, nelle formule mutuate, la «Città del Nord-Est». Un territorio legato assieme da una viabilità di scopo, cucito in un unicum dai comuni di Tivoli, Guidonia Montecelio, la vecchia Mentana dei 39 mila abitanti, fino a Monterotondo. Schema adottato anche dai giornali locali, allo scopo di raccontare un territorio univoco nello sviluppo economico e sociale. Attraverso una programmazione che trovasse in quel modello una conseguente espansione urbanistica, nel 1976 l’amministrazione del comune più importante per popolazione licenziò il Piano regolatore generale. Governava la sinistra, la guida era di una giovane «sindaca» comunista: Anna Rosa Cavallo. Una donna al comando in anni difficili, quando la politica era fatta da maschi con poche eccezioni a confermare la regola. Ho intervistato l’ingegner Rendine qualche giorno fa. A dire il vero è stata più una chiacchierata. Il libro lo avevo già letto, divorato. Curiosa di particolari e retroscena di cinquant’anni di storie in parte inedite.

Comincia giusto nel 1975 il racconto della Guidonia politica dal punto di vista di Ugo rendine. A dire il vero un punto di vista oggettivo quanto basta. Basato su reperti documentali che meriterebbero un archivio pubblico per importanza. È l’anno in cui l’autore entra per la prima volta nella seconda istituzione del comune. Eletto con i voti determinanti dei montecellesi al culmine di una battaglia contro le sinistre. Una lotta che sul piano sostanziale sarebbe proseguita negli anni, contro lo spopolamento dell’antico Borgo. Ancora oggi Rendine è convinto della necessità di politiche a tutela dei centri storici. Guarda al futuro, auspica  l’istituzione di un settore, nell’indirizzo politico, dedicato ai quartieri storici di Guidonia: Montecelio e la città di fondazione. Attraverso l’istituzione di un assessorato ad hoc, egli ancora sogna la riqualificazione e il rilancio di progetti lontani ma in un’ottica di modernità.

1975-1980. Quel quinquennio non fu solo di rivoluzione per la città che cambiava pelle, risucchiando nuovi residenti e allargando i confini fino a lambire le periferie romane, fu anche l’albore delle divisioni nella sinistra cittadina,  la nascita di comportamenti che avrebbero condizionato gli anni avvenire dopo il 1980 e fino alla Tangentopoli dei primi ’90 del secolo scorso, con gli arresti eccellenti tra i socialisti. Rendine dedica un capitolo agli eventi che caratterizzarono gli ultimi mesi dell’amministrazione Cavallo. Quando dopo 5 anni di governo più o meno stabile, le frizioni avevano portato il Pci a denunciare pubblicamente le condotte censurabili dell’alleato socialista. Rendine racconta una delle ultime sedute di quel consiglio comunale, allegando materiale d’archivio. Manifesti dell’epoca a testimonianza dell’azione del Pci, una sua interrogazione volta a stigmatizzare proprio i comportamenti contraddittori dei compagni comunisti, che da un lato governavano col Psi e il Psdi e dall’altro ne denunciavano le attitudini creative applicate alla finanza pubblica. Col senno di poi, forse la genesi dei guai giudiziari in cui sarebbero incappati i socialisti un decennio più tardi, con l’arresto del sindaco icona Giovan Battista Lombardozzi. La narrazione di Rendine di quei fatti è lucida e vera, coinvolgente come un romanzo quando intreccia gli aspetti più personali: il matrimonio, la nascita dei due figli, la crescita di una giovane famiglia tipicamente indaffarata nella costruzione del futuro. Tanto spazio del libro è dedicato agli affetti d’origine, ai genitori e alla sorella Olivia, figura presente fino quasi all’attualità nei pranzi quotidiani, raccontati dall’ingegnere architetto con nostalgia.

A partire dal 1980 Rendine rimarrà lontano dal Comune fino al 1990 ma la narrazione non si ferma. Si concentra sulla storia di due cooperative agricole che diventano l’altra faccia del libro. La sua singola storia di socio che incrocia quella collettiva di centinaia di persone. Pagine di vita vissuta, di lotte d’ altri tempi di manifestazioni di piazza per la riaffermazione dei diritti e per la sopravvivenza. Rendine è in quegli anni la politica che non abbandona l’attivismo al di fuori delle istituzioni, per poi  tornare nelle stanze del potere, a dieci anni di distanza, quando Tangentopoli spazza via la prima repubblica e con essa le giunte socialiste. È il 1990 e l’autore subentra in Consiglio comunale a uno degli arrestati. È anche il momento di Umberto Ferrucci sindaco, scelto nel mazzo dei professionisti per condurre in porto la variante di piano regolatore che deve dare alla città un nuovo volto. Nasce in quel momento «l’affaire Fincres-Pizzarotti» che consente all’imprenditore Bartolomeo Terranova il salto di qualità. Il «caso» del nuovo quartiere sulla ex 48 abitato da 2 mila persone si è trascinato il carico di beghe fino a ieri l’altro. Il fatto è noto: in 25 anni un fil rouge ha legato il progetto di espansione urbanistica alle sorti delle amministrazioni comunali. Una lunga storia d’amore e di mattone per un certo verso iniziata con la mozione di sfiducia a Ferrucci (a firma Rendine), che nel 1995 sembra destinata a seppellire per sempre la Pizzarotti agli inizi del suo iter amministrativo. Fu una illusione. Seguì l’impalpabile mandato di Teresa Bonelli (Forza Italia). La «sindaca» dei sei mesi, perno di una amministrazione per Rendine caratterizzata da «avvenimenti sconcertanti». La breve storia triste di una debacle politico amministrativa che nel ’96 avrebbe lasciato campo all’elezione di Ezio Cerqua.

Dal primo sindaco post comunista della storia cittadina riprende la narrazione dell’autore, allo scopo di proiettare il lettore verso i fatti del nuovo millennio ma sempre nel segno dell’affaire Pizzarotti. Che proprio con Cerqua – raccontato da Rendine come in «costante contatto con Botteghe Oscure (la sede nazionale del Pci, Pds-Ds ndg)» – ritrova una strutturazione sotto il profilo amministrativo. Grazie agli eventi centrali dei pareri mancanti che, nella regola del silenzio assenso, rappresentarono l’architettura della futura variante urbanistica favorevole alla Pizzarotti. Per meglio inquadrare il momento storico nel quale accaddero i fatti, occorre tornare al periodo, e l’autore non è certo avaro di dettagliate ricostruzioni: siamo nel 1996, la Dc non esiste più, e il Nostro è entrato nel rivolo centrista del Ccd di Pier Ferdinando Casini e nel Polo delle Libertà che a livello nazionale vede in Silvio Berlusconi il leader di un centrodestra che ha sdoganato i post fascisti di Gianfranco Fini e favorito la nascita di An. In quella campagna elettorale Rendine poteva correre da sindaco, essere lo sfidante di Cerqua, ma le cose andarono diversamente e toccò a Adalberto Bertucci, storico esponente della destra cittadina, ex militante del Movimento Sociale Italiano da poco archiviato come tutti i partiti della prima repubblica. Finì sconfitto Bertucci, mentre l’autore venne di nuovo eletto nel consiglio comunale. All’affaire Pizzarotti, così centrale nella narrazione di Rendine, pubblicherò a breve un articolo su questo Sito. Il fil rouge infatti non si è mai spezzato. Legando gli anni ’90 ai primi due decenni del nuovo millennio. Da Cerqua ai sindaci che sono venuti dopo: Stefano Sassano, Filippo Lippiello, Eligio Rubeis, Michel Barbet. Ciascuno a suo modo ha lasciato un’impronta sul progetto del nuovo quartiere. Il racconto di Rendine finisce a Rubeis solo perché il libro era già scritto e stampato.

All’affaire Fincres Pizzarotti l’autore lega alcune pagine oscure della storia cittadina (che saranno oggetto di una cronaca più esauriente su www.elisabettaaniballi.com). Un aneddoto di cui fa menzione nel libro è quello della notte delle bombe in consiglio comunale. Accade nel 2001 e Rendine è ancora in amministrazione, stavolta in maggioranza. Si vota sempre sulla procedura Fincres Pizzarotti, sindaco è Stefano Sassano (2000-2005) quando la seduta viene bruscamente interrotta per la presunta presenza di un ordigno in aula. Un anonimo ha telefonato ai carabinieri che arrivano e sospendono i lavori. Non è l’unico accadimento di quella notte. Nel corso di una seduta durata più di 10 ore, piena di stranezze. Erano gli anni immediatamente successivi ai Corvi, alle lettere anonime e ai proiettili indirizzati al presidente del consiglio comunale (Rita Salomone) come forma di intimidazione eseguita con metodo mafioso. Un clima che non sarebbe cessato, di cui Rendine è stato critico osservatore a poi narratore. Un bel libro il suo, con un’anima e un’ambizione didattica assolutamente assolta dall’autore. Compratelo e leggetelo per conoscere meglio la città in cui vivete. È in vendita al prezzo promozionale di 14 euro.

In basso, la locandina di presentazione ufficiale del libro del 20 dicembre 2019.

AUTORE: Elisabetta Aniballi

Blogger e Giornalista professionista. Nella sua trentennale carriera ha maturato esperienze prevalentemente nella carta stampata senza mai nascondere l'amore per la radio, si occupa inoltre di comunicazione politica e istituzionale.

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