CON LE dichiarazioni rese a verbale (e confermate il 23 gennaio nell’aula dove si tiene il processo alla Mafia Bianca) ha inguaiato principalmente Rosa Mariani. L’esposto, per quanto vago e incircostanziato, presentato da Patrizia Salfa nel 2015, traccia perfettamente l’accusa di associazione per delinquere ipotizzata dalla Procura e che il 20 aprile del 2017 ha portato in carcere l’ex segretario generale che, a differenza degli altri attori di Ragnatela, non è imputata di corruzione o concussione, ma solo di essere a capo di una cupola che avrebbe, negli anni, agito al solo scopo di depredare le casse pubbliche. La grande accusatrice il 23 gennaio è stata sentita nel processo come teste dell’accusa, sede nella quale ha riproposto le rivelazioni tra gossip e fantasia – chi non ricorda la maxi tangente di 20 milioni di euro sull’appalto dei rifiuti – già oggetto di verbale. Non a caso i giornali locali hanno titolato “in aula i veleni della Salfa”.

L’ex assessore a Personale e Attività produttive nella prima amministrazione Rubeis non amava Mariani, questo era fatto risaputo nel Palazzo. Nel 2009 ne aveva chiesto la testa per fare spazio ad una sua amica segretario in una provincia emiliana, per cui il sindaco avrebbe dovuto avviare le pratiche per l’allontanamento di Rosa Mariani, anche questo era fatto risaputo, come che, tra gossip e fantasia, fosse in atto uno scontro di potere tra le signore, l’una a capo della macchina burocratica, l’altra alla guida dell’assessorato al Personale. Salfa ha raccontato in aula di una Mariani solita frequentatrice degli imprenditori più in vista, stigmatizzandone i comportamenti inopportuni, ma non per questo era a capo di una cupola. Veleni sedimentati da anni di divergenze e di scontri all’interno del medesimo ambito, dove nessuna era disposta a mollare un centimetro di potere all’altra. L’antipatia e il rancore trasformati in accuse? A leggere la deposizione resa da Salfa in aula sembrerebbe di sì, i veleni di cui parla la stampa locale.

Un pallino, se non il tentativo del controllo della macchina burocratica, che era certamente nelle corde dell’ex assessore. Sempre attiva nell’indirizzare gli uffici, capace e profonda conoscitrice di leggi e cavilli in materia, ma anche delle storie personali di dipendenti,  funzionari e dirigenti per avere, in molti casi, contribuito a sostenerne la carriera nella pubblica amministrazione, l’accusatrice si è sempre mossa con la la verve di chi considerava il palazzo un proprio esclusivo terreno d’azione. Proprio perché brava, Salfa riusciva a tenere il controllo, ma non sempre. Mariani era al contrario una pedina che non le rispondeva. Anche per via di quella antipatia originaria.

Una attenzione per i meccanismi burocratici, nella evidenza per i segretari comunali, Salfa l’aveva del resto dai tempi in cui il marito, l’avvocato Moreno Morando, dirigeva l’apposita Agenzia nazionale, luogo dal quale si smistavano le specifiche professionalità nei comuni italiani. Lei era il funzionario che in concorso con altri commise nei primi anni del nuovo millennio l’errore marchiano. Finirono in più d’uno sotto processo, accusati di violazione di segreto d’ufficio per avere spedito al fax sbagliato, dati sensibili riguardanti un’altra segretaria comunale, di Copparo in provincia diFerrara. Dati poi usati come clava in assise da due consiglieri di An contro la massima figura burocratica dell’Ente, partito nel quale la dark lady, grande accusatrice del “Sistema Guidonia”, all’epoca militava.

La storia di Copparo ha una valenza storiografica, risale a tempi lontanissimi, il processo si è chiuso con la assoluzione di tutti gli attori coinvolti, “non commisero alcun abuso d’ufficio” trasmettendo quell’atto.  Tuttavia la segretaria comunale di Copparo Daniela Ori, nella tesi dell’accusa che spedì Morando e Salfa alla sbarra in concorso con un altro funzionario, si ritrovò al centro di un complotto. Per la Procura, i pubblici dipendenti della Agenzia, inviarono di proposito il documento a un fax sbagliato del comune di Copparo.  Si trattava di “un atto riservato comprovante un procedimento disciplinare in essere per la Ori” . Finito nelle mani sbagliate e usato in via politica per colpire l’operato del segretario e delegittimarne l’azione, quando i consiglieri di An ne divulgarono, si legge sulla stampa dell’epoca, i contenuti “in modo plateale e roboante, nel corso del consiglio comunale del 29 settembre 2000”, ossia “la notizia di un provvedimento disciplinare a carico della segretaria Ori, perché non aveva i requisiti per ricoprire quella carica”. Nessuna rilevanza penale, solo comportamenti noti agli osservatori delle questioni guidoniane degli ultimi 20 anni.

AUTORE: Elisabetta Aniballi

Blogger e Giornalista professionista. Nella sua trentennale carriera ha maturato esperienze prevalentemente nella carta stampata senza mai nascondere l'amore per la radio, si occupa inoltre di comunicazione politica e istituzionale.

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